Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 15 settembre 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Le carote non erano arancioni, ma da quando lo sono possono prevenire l’ictus. Originaria dell’Afganistan, di colore biancastro, giallino o viola purpureo, la carota si è diffusa prima in Iran e Cina, poi in Giappone e, infine, in Europa. La varietà attualmente egemone nel mondo è stata artificialmente realizzata dagli Olandesi mediante una paziente selezione volta al fine di ottenere il colore arancione, in onore di Guglielmo d’Orange. Anche se in un recente saggio storico Evelyne Bloch-Dano ipotizza, sulla base di rilevi documentali, che una varietà rossa ed una gialla fossero già note nel VI secolo a.C., non si trattava delle carote attuali, sia perché rossa potrebbe stare per purpurea e gialla per giallastra, come quelle diffuse nel Medioevo, sia perché studiosi autorevoli suppongono che si trattasse di barbabietole, come quelle di cui parla lo scrittore e agronomo Pietro de’ Crescenzi (1233-1320).

Gli oltre 600 carotenoidi noti, pigmenti organici rinvenuti nelle piante e in altri organismi fotosintetici, quali alghe e alcune specie di batteri, sono costituiti da una catena polienica di 35-40 atomi di carbonio, la cui struttura consente di distinguerli in due classi: le xantofille, come l’astaxantina, la luteina e la zeaxantina, che contengono atomi di ossigeno, e i caroteni, costituiti solo da idrogeno e carbonio, senza ossigeno. Fra questi, la molecola di carotene che dà nome alla classe, è il pigmento responsabile del colore delle carote e, insieme con il licopene, è di notevole interesse medico. Il colore del fenicottero rosa, del salmone, delle aragoste, delle foglie in autunno è dovuto a queste molecole, che hanno una parte significativa anche nella nostra pigmentazione cutanea. La struttura rende questi composti in grado di stimolare la chemiorecezione olfattiva, generando il profumo di tè, tabacco, vari fiori e frutti. I carotenoidi hanno la proprietà di legare i radicali liberi, consentendone l’eliminazione in processi di vitale importanza per ogni apparato, incluso il sistema immunitario. Con l’eccezione degli afidi, l’organismo animale non è in grado di sintetizzare i carotenoidi che, pertanto, devono essere assunti con la dieta.

La nostra società scientifica ha studiato e verificato, prendendo le mosse da una rassegna pubblicata da Bahonar e colleghi lo scorso anno, la possibilità di impiego dei carotenoidi quali antiossidanti nella prevenzione dell’ictus [cfr. Bahonar A., et al. Carotenoids as Potential Antioxidant Agents in Stroke Prevention: A Systematic Review. Int J Prev Med. AOP – doi: 10.4103/ijpvm.IJPVM_112_17, eCollection, 2017]. I risultati emersi dagli studi più recenti indicano che alti livelli di assunzione dietetica di licopene, carotene, astaxantina, luteina e zeaxantina sono associati ad una significativa riduzione del rischio di ictus e di altre patologie cerebrovascolari. Il principale meccanismo d’azione responsabile di questi effetti protettivi non è stato ancora identificato; tuttavia, sono stati proposti vari meccanismi al di fuori dell’attività antiossidante all’origine delle proprietà preventive. In attesa che si scoprano i processi molecolari che riducono la probabilità di episodi cerebrovascolari acuti, è ragionevole introdurre supplementi dietetici di carotenoidi nei pazienti a rischio. [BM&L-Italia –  Aggiornamenti – agosto, 2018].

 

Scoperti i neuroni del tronco encefalico che rilasciano lo sfintere dell’uretra. Il controllo volontario della minzione è una necessità sociale, la cui importanza diviene drammaticamente evidente quando si verifica incontinenza. La fisiologica emissione delle urine richiede l’intervento del nucleo di Barrington, all’interno del quale Jason A. Keller e colleghi hanno identificato un sottoinsieme di neuroni eccitatori che esprimono il recettore degli estrogeni 1 (BarESR1) e, proiettando agli interneuroni spinali che rilasciano lo sfintere, controllano la minzione. [Keller J. A., et al. Nature Neuroscience - AOP doi: 10.1038/s41593-018-0204-3, 2018].

 

Scoperta una via sinaptica per il controllo dell’attenzione. Un nuovo studio dimostra che i neuroni eccitatori della parte ventrale della regione CA1 dell’ippocampo, che esprimono il gene per il recettore 2c della serotonina (5-HT), controllano l’attenzione mediante l’innervazione diretta dell’equivalente murino del nucleo di Edinger-Westphal. [Xinyan Li et al. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-018-0207-0, 2018].

 

Topi ciechi vedono la luce grazie ad una nuova tecnica di rigenerazione fotorecettoriale. Un lungo lavoro per ottenere la rigenerazione dei fotorecettori della retina sembra essere stato coronato da successo, secondo quando riportato da Kelly Servick su Sciencemag. Un team di ricercatori della Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital di New York, guidato da Bo Chen, ha indotto cellule della glia di Müller a rigenerare un tipo di cellula fotorecettrice nella retina di topi ciechi. Queste nuove cellule sono in grado di rilevare la luce con buona sensibilità e sono in rete con gli altri elementi cellulari della retina per la trasmissione di segnali attraverso le vie ottiche al cervello. In precedenti studi era stata sperimentata l’inserzione di cellule staminali, secondo una procedura più invasiva che causava danni alla retina. Bo Chen e colleghi hanno provato con successo a riprodurre nei mammiferi quanto naturalmente accade nella retina del pesciolino d’acqua dolce Danio rerio (zebrafish), dove la glia di Müller rigenera i fotorecettori danneggiati. Non mancano gli scettici circa il reale ripristino fisiologico della funzione; fra questi, la Servic cita Seth Blackshaw, neuroscienziato della John’s Hopkin University di Baltimore. I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati su Nature lo scorso 15 agosto. [Cfr. Kelly Servick, Eye regeneration technique lets blind mice see the light. Sciencemag Aug 15, 1:00 PM, 2018].

 

Cellule epiteliali amniotiche per la terapia dell’ictus ischemico. La terapia cellulare dell’ictus, teoricamente utile e potenzialmente efficace, presenta problemi biologici, patologici ed etici. Tali problemi non riguardano le cellule epiteliali amniotiche umane (hAEC), che sono cellule epiteliali derivate dalla placenta. Evans e colleghi di un team australiano hanno sperimentato in 4 diversi modelli animali di ictus le hAEC con ottimi risultati. In particolare, nei primati non umani inibivano lo sviluppo dell’infarto dopo lo stabilirsi dell’ischemia. Le hAEC si candidano, così, alla sperimentazione terapeutica umana. [Neural Regen Res 13 (8): 1346-1349, 2018].

 

Prioni: definito un aspetto della tossicità sinaptica delle proteine prioniche patogene. I meccanismi che consentono ai prioni cellulari (PrPc) mutati nella configurazione quali forme potenzialmente patogene (PrPSc) di esercitare i loro effetti dannosi sulle giunzioni sinaptiche sono ancora poco conosciuti. Foliaki e colleghi hanno accertato che le forme PrSc resistenti alle proteinchinasi K sono specie molecolari acutamente sinaptotossiche. [PLoS Pathog 14 (8): e1007214, Aug 8, 2018].

 

Goethe e la ricerca della “giusta distanza” affettiva per l’Arte del Vivere. Dopo gli eccessi romantici, vissuti traducendo in letteratura gli stati d’animo, Johann Wolfgang Goethe, durante il Viaggio in Italia, scopre in San Filippo Neri le risorse di una conduzione di vita che, rispettando le esigenze della coscienza morale cristiana, aiuta in una saggia amministrazione delle qualità e delle energie affettive per un perfetto equilibrio psicologico. A Napoli, il 26 maggio del 1787, annota: “La figura di Filippo Neri non solo è oggetto di somma venerazione, ma ha anche lasciato un sereno ricordo; e se le notizie intorno alla sua vita e al suo grande timor di Dio sono fonte di edificazione e di gioia, si narrano pure molti esempi del suo umore felice”.

Prima di esporre in sintesi la discussione sugli spunti trovati nel santo fiorentino per ricerca della “giusta distanza”, si riporta qualche cenno biografico su Goethe a scopo introduttivo.

Un fatto di vita reale ispirò il Werther (“I dolori del giovane Werther”): Goethe si innamora di Carlotta Buff, fidanzata del suo caro amico Kestler, e dal filo narrativo di questa esperienza tesse la trama del celebre romanzo, pubblicato nel 1774 e poi diffuso quale primo esempio di best-seller mondiale, con un lungo elenco di lettori celebri, da Napoleone Bonaparte a Giacomo Leopardi. Anche se già l’anno dopo Goethe pone mano alla prima stesura del Faust (ripresa nel ’97, completata nel 1806 e pubblicata nel 1808), la sua fama sarà indelebilmente legata al Werther, serto di gloria e camicia di Nesso, per la totale identificazione dell’autore con il personaggio. Certo, Goethe, pur lamentandosi di questo marchio indelebile che gli era stato impresso, non aveva fatto nulla per evitarlo; anzi, ne era stato il primo responsabile. Quando fu ammesso a corte la prima volta, ad esempio, vestì un frac turchino ed un panciotto giallo: l’abbigliamento di Werther. Le ragioni del successo e dell’ambivalenza dell’autore nei confronti del personaggio da lui creato sono proprio nella realtà della sofferenza psichica vissuta in quel periodo, come si evince dalle sue parole: “Del resto, come ho già detto molto spesso, da quando è stato pubblicato io ho riletto quel libro solo una volta, e mi sono guardato dal tornare a leggerlo. Sono razzi incendiari! Ed io mi trovo a disagio e temo di riprovare lo stato patologico dal quale il libro nacque”. (Cit. in Introd. di L. Mazzucchetti, CDL, Novara 1958).

È difficile rendere in sintesi la complessa personalità di quest’uomo di ingegno che, seppure fin dalla giovinezza votato alla poesia, compì studi giuridici e medici.

Quando nel 1784 scoprì l’osso intermascellare (ox maxillare), credette di aver trovato la prova della differenza fra l’uomo e la scimmia, ossia un’acquisizione antropologica di portata epocale. Era così convinto dell’importanza di questa scoperta, da ritenere che i posteri lo avrebbero ricordato come scienziato e non come poeta o narratore. D’altra parte, come i geni poliedrici dei secoli precedenti, condusse studi in campi diversi del sapere, quali la botanica, l’ottica e la teoria dei colori.

Ritorniamo ora agli spunti colti dall’autore de Le Affinità Elettive nel suo Viaggio in Italia.

Goethe è colpito dalla massima di San Filippo Neri che, definendo il modo del rapporto col mondo, con gli altri e con sé stessi, propone una chiave per orientare e regolare gli investimenti affettivi: “Spernere mundum, spernere neminem, spernere se ipsum, spernere se sperni”. La massima, da attribuire a San Bernardo, come mostra di sapere lo stesso Goethe nello scritto Filippo Neri, il santo umorista, dato a Roma nello stesso anno, è tradotta rendendo il verbo latino spernere con l’italiano disprezzare. In realtà, si gioca sui due significati principali di spernere: 1. Tener lontano, allontanare; 2. Disprezzare, detestare. Si potrebbe così tradurre: tenere lontano il mondo, non detestare nessuno, tenere lontano sé stesso e il disprezzo di sé.

Tener lontano il “mondo”, inteso in senso giovanneo, con i suoi idoli, i suoi valori e le sue logiche, aiuta nell’amare il prossimo e, perciò, non disprezzare nessuno; così, allontanare se stesso, per mettere Dio al primo posto, protegge dal peccare al punto di giungere al disprezzo di sé. In proposito, Goethe osserva che per “spernere se sperni” bisogna essere sulla via della santità. In effetti questo motto, quale porta di accesso alla concezione cristiana, conduce verso una sapiente distribuzione dell’investimento amoroso, che non deve essere concepito come l’espressione verso una sola persona di una forza assoluta e primordiale legata ad un bisogno di identità, dal quale dipende la vita del soggetto (passione romantica), ma come l’esperienza del donare e donarsi al prossimo per amare Dio. La passione romantica non solo espone al rischio dell’idolatria (della persona amata), ma suppone anche la vanità di porre in cima ai propri interessi la soddisfazione del proprio desiderio, configurando una condizione di peccato in chiave morale ed una diseconomia psicologica data dallo squilibrio degli investimenti e dalla erronea ricerca di una realizzazione d’oggetto nella “fusione con l’altro”.

L’innamoramento, quale sindrome fisiologica che assecondata può giungere ad espressioni vicine a quelle della psicopatologia, nella passione romantica si sostituisce all’amore, ossia ad un sentimento maturo che dovrebbe manifestarsi nella coppia quale espressione privilegiata dell’oblazione per il prossimo. Filippo Neri conosceva bene la formula di San Francesco: “Nel Vangelo la parola amare si legge dare”. La caritas è proprio donare a chi chiede, potenzialmente a tutti, distribuendo le proprie risorse, come nella distribuzione dei pani e dei pesci moltiplicati dal Cristo. L’innamorato, come Werther, invece sembra perdere interesse per ogni altra persona che non sia l’amata, e vive – secondo l’acuta osservazione di Roland Barthes sullo stato psichico di Werther nel suo Frammenti di un discorso amoroso – l’economia dello spreco. È una condizione ad alto grado di entropia psichica – ha osservato Giuseppe Perrella – che rimane diversa per qualità, sia dall’eccitazione maniacale sia dagli stati ansiosi.

L’educazione ai sentimenti secondo Filippo Neri, sebbene concepita unicamente al fine del compimento del volere divino, fornisce un modello ordinato ed equilibrato per gestire l’economia psichica, portando la somma degli investimenti verso l’astrazione dell’Altissimo (amare Dio per amare il prossimo) e considerando relativo o parziale ogni singolo investimento affettivo (amare il prossimo per amare Dio). L’identità del soggetto si nutre e si compie nel rapporto col Signore, e non può essere minacciata da una delusione d’amore, da una perdita o da una frustrazione originata da un rapporto di coppia.

 

Notule

BM&L-15 settembre 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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